La licantropia nell'Antica Roma. I lupi mannari per gli autori latini
Il licantropo, il lupo mannaro o uomo lupo, protagonista di un argomento macabro che ci porterà in un'Antica Roma dalle tinte horror!
Di Ivan La Cioppa - domenica 5 novembre 2023
Il licantropo, (dal greco λúkος, lýkos «lupo» e ἄνθρωπος ánthropos «umano» quindi letteralmente: «lupo-umano»), detto anche lupo mannaro o uomo lupo è un essere fantastico che ha, da sempre, affascinato uomini di ogni epoca. Questa feroce creatura leggendaria ha suscitato molto interesse anche presso i Romani.
Molti autori della letteratura latina, infatti, hanno trattato l'argomento "lupo mannaro", primo fra tutti, Plinio il Vecchio, scrittore, naturalista e filosofo, vissuto tra il 23 e il 79 d.C.; egli ne parla in modo approfondito nel capitolo dedicato ai lupi nella sua "Naturalis historia", una complessa opera di carattere enciclopedico sui fenomeni naturali.
«Secondo il greco Evante un membro della famiglia di un tale Anto in Arcadia, dopo essere stato estratto a sorte, veniva condotto presso uno stagno, qui appendeva i propri abiti ad una quercia, traversava a nuoto lo stagno, raggiungeva luoghi inabitati e si trasformava in lupo. Egli restava tra gli altri lupi per nove anni, trascorsi i quali, nel caso in cui non avesse toccato carne umana, faceva ritorno allo stagno e alla sua vita.» (NH, VIII, 81)
Anche Gaio Petronio Arbitro, scrittore e politico romano del periodo dell'imperatore Nerone, cita un caso nel "Satyricon", romanzo in prosimetro a lui attribuito: «...Persuasi un soldato nostro ospite, forte come un orco, ad accompagnarmi. Capitati in mezzo a un cimitero, il mio compagno si mise a farla tra i cippi, mentre io canticchiavo per farmi coraggio e andavo contando le tombe. Dopo un po’, voltandomi, vidi che il soldato si era spogliato e aveva lasciato gli abiti presso il margine della strada. Con l’animo in gola stetti a guardarlo: urinando tracciava un cerchio intorno ai suoi vestiti e subito si trasformava in lupo...» (Sat., 62)
Anche il celebre Publio Virgilio Marone (70 a.C. - 19 a.C.) ci ha raccontato un interessante episodio riguardo i lupi mannari nelle Bucoliche: «Queste erbe e questi veleni raccolti nel Ponto, Meri in persona mi ha dato: nel Ponto ne nascono molti. Vidi Meri grazie ad essi trasformarsi spesso in lupo e nascondersi nelle selve, spesso lo vidi evocare le anime dai profondi sepolcri e trasportare le messi da un campo all'altro.» (Ecl, VIII, 96-100)
Virgilio, Petronio e Plinio il Vecchio parlano di licantropi, lupi mannari nell'Antica Roma!
Interessante è anche il mito di Licaone contenuto nelle Metamorfosi di Ovidio (I, 209-241), il quale racconta la vicenda del re di Arcadia che mette alla prova Zeus, dubitando della sua identità, dandogli da mangiare carne umana. «...Ma come se non fosse abbastanza, sgozza con una spada un ostaggio mandatogli dal popolo dei Molossi, e quelle membra ancor mezze vive in parte le lessa in acqua bollente, in parte le arrostisce alla fiamma...» La punizione del Padre degli dèi è inesorabile: «Atterrito fugge e raggiunta la campagna silenziosa lancia ululati, tentando di parlare. La rabbia gli sale al volto dal profondo e assetato come sempre di sangue si
rivolge contro le greggi e tuttora gode del sangue. Le vesti si trasformano in pelo, le braccia in zampe: ed è lupo, ma della forma antica serba tracce. La canizie è la stessa, uguale la furia del volto, uguale il lampo degli occhi e l’espressione feroce.»
Incrociando le varie fonti, possiamo tracciare il profilo del licantropo nella cultura romana. Il termine usato per indicare il lupo mannaro era Versipellis, come attestato da Petronio, e significa letteralmente "dalla pelle capovolta". Ciò indica una trasformazione reversibile. Quindi un uomo può trasformarsi per poi riprendere sembianze umane. La trasformazione non avviene necessariamente con la luna piena ma attraverso rituali o pozioni magiche. Può intervenire il volere divino ma un uomo può diventare un lupo mannaro anche per mezzo del contatto con la natura o in luoghi legati alla morte. Altra peculiarità: i lupi mannari di cui parlano le fonti sono tutti uomini. Non abbiamo citazioni di donne. Molti intellettuali romani, alla fine, considerano queste storie come frutto di pura fantasia come lo stesso Plinio.
Galeno di Pergamo, il rinomato medico romano, nella sua "Ars medica" va oltre, considerando la licantropia una vera e propria malattia, una forma di melanconia, curabile. «È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell’accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l’infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d’altra parte di bagni d’acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriaca estratta dalle vipere e le altre cose da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate.»
Realtà o finzione, il mito del licantropo è giunto fino a oggi in tutta la sua potenza evocativa. Noi, come gli antichi romani, ne siamo inevitabilmente affascinati. Il lupo mannaro o uomo lupo che sia è una creatura leggendaria presente nella quasi totalità delle Culture, da Oriente a Occidente, in forme e caratteristiche non sempre corrispondenti. Lo potremmo definire una sorta di "mostro" universale che ha percorso indenne i millenni fino a dominare anche il nostro universo horror contemporaneo.
Bibliografia e note:
- "Naturalis historia", VIII, 81, Plinio il Vecchio.
- "Satyricon", 62, Petronio.
- "Egloghe", VIII, 96-100, Virgilio.
- "Metamorfosi", I, 209-241, Ovidio.
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